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La vita abbatte e schiaccia l’anima e l’arte ti ricorda che ne hai una.
March 13, 2017
Oggi, 15 marzo 2017 la redazione “1789, La rivoluzione delle idee”, nata dalla collaborazione di studenti di giurisprudenza e di economia del primo anno è lieta di annunciare l’inaugurazione della rubrica dedicata al mondo dell’arte e alle curiosità culturali con alcuni richiami alla sfera economica: “start from 1789!”
I temi chiave che affronteremo verteranno sull’ispirazione individuale nel processo artistico, sulle motivazioni personali e collettive che hanno portato alla nascita dei movimenti e delle correnti riconosciute e codificate; sui variabili rapporti con la committenza, il pubblico e la critica, comunque determinante nel decretare fortune ed insuccessi di opere e autori; sul mercato, sui meccanismi di produzione, riproduzione e diffusione del fenomeno artistico e dei suoi protagonisti tra era della rivoluzione industriale ed era della globalizzazione.
Questi temi verranno inquadrati sullo sfondo del mutevole rapporto nello spazio e nel tempo tra fenomeno artistico e realtà sociale: l’arte possiede la funzione quasi profetica di anticipare processi e tendenze, di riflettere criticamente sul presente, o ancora di reinterpretare il passato in forme nuove: tali diverse attitudini esprimono la perenne tensione tra innovazione e tradizione, fornendo a ogni singola opera la possibilità di ‘collocarsi’ e ‘dialogare’ con la produzione estetica precedente e contemporanea.
Un ulteriore elemento di riflessione è rivolto al senso del fare artistico che si è progressivamente emancipato dal ‘bello ideale’ kantiano, estendendo il campo delle forme e delle pratiche espressive in maniera pervasiva e spesso provocatoria. Diverso è il coinvolgimento dei fruitori nei riguardi del messaggio e del significato di un’opera contemporanea, diversa l’esperienza ‘totale’ cui vengono sollecitati a partecipare e talvolta a interagire proattivamente, attraverso la performance.
Tutti questi aspetti aprono a un vasto campo di interpretazione del fenomeno artistico e dei suoi derivati, che non è più fisso e inequivocabile come avveniva per il passato con le committenze e con il pubblico, ma è oggetto di fraintendimenti o addiritturaindecifrabile. Una forma, questa, di ‘desacralizzazione’ che testimonia tuttavia il crescente avvicinamento di pratiche anche molto differenti - arti, beni culturali, letteratura, festival, produzioni cinematografiche, e più in generale delle attività creative - alla esperienza del quotidiano, che può e deve essere anche letta alla luce della rinnovata importanza della creatività nello sviluppo di economie legate alla conoscenza, nel quadro dell’impegno una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile sancito a livello comunitario dalla Strategia Europea 2020.
Divieni ciò che sei
March 13, 2017
Poche sere fa, assalito da un’insonnia febbrile, decido di accendere la televisione sperando mi conciliasse il sonno. Confuso e rintronato – erano pur sempre le due di notte – inforco gli occhiali e leggo “intervista a X, professore universitario e filosofo”. Filosofo…in televisione un filosofo! E non è Massimo Cacciari né Diego Fusaro. Qualcosa di unico e raro, non potevo perdermelo, non che avessi nulla di meglio da fare. Alzo il volume e sento parlare un uomo vetusto, sull’ottantina, dall’espressione buona e accondiscendente, gli occhi sognanti come quelli di un bambino, la voce un po’ tremula, ma sicura, come quella di chi sa cosa e come lo deve dire. Dopo aver parlato della sua vita, delle sue esperienze, dei suoi amori, quelli leciti e quelli adulterini - pur riaffermando a più riprese che il suo unico vero amore fu la moglie, le altre al massimo passioni fugaci – il giornalista gli chiede: “Ma, in definitiva, essere filosofi è un mestiere?”. L’intervistato accenna un sorriso beffardo, come quello di chi para un colpo in una lotta, e dice: “Beh, lo è come è un mestiere essere uomini”. Di questa risposta fulminea e illuminante è notevole la scelta dei vocaboli, il filosofo dice“essere uomini”, non “essere umani”. Nel concetto di humanitas rientrano molte cose, qualità, virtù, che non appartengono alla maggioranza delle persone, me compreso. Essere umani restringe, chiude, serra, crea un'élite di persone che – per definizione- la pensa in maniera simile, fosse solo per la base da cui partono. Essere filosofi significa essere uomini. Dire ciò implica aprire le porte della filosofia a chiunque abbia il coraggio di spiare all’interno, di buttare uno sguardo sul mondo della consapevolezza, sul mondo dell’abisso e del caos, della ricerca incessante di una verità che fugge, che non si fa avvicinare da nessuno e che forse neanche esiste. La verità è un mezzo, non è uno scopo. Filosofare, reinterpreto David Grossman, significa essere il coltello con il quale scaviamo dentro noi stessi. Significa, in definitiva, scegliere. E tutti noi scegliamo, la scelta è prerogativa dell’uomo. Gli animali sono guidati dall’istinto, l’uomo sceglie sempre, razionalmente, irrazionalmente, sentimentalmente, tradizionalmente, compie sempre una scelta. E l’unico modo per cessare di essere filosofi e, dunque, di essere uomini, è smettere di scegliere. Bendarsi gli occhi e lasciarsi guidare da scelte altrui, compiere un’alienazione inconsapevole della vita individuale a favore di una massificazione sotto il segno dell’illusione. E’ così che si cade in quella che Heidegger definì, in maniera quasi romantica, vita inautentica. Inautentica perché non nostra, perché scelta da qualcun altro.
“Il Pendolo” è, e sarà, nient’altro che questo: un percorso verso la consapevolezza. Un percorso fatto di riflessioni, immagini, musica, esperienze di vita, condivisioni, citazioni, spunti artistici e letterari il tutto volto a strappare, distruggere, gettare nella spazzatura quel velo sottile che troppo spesso ci impedisce di guardare la realtà con i nostri occhi. Quella che con un eufemismo abbiamo chiamato “coerenza” e di cui capita di farsi vanto, si è trasformata in timore di cambiare idea, è seguire un dogma adocchi chiusi.
“Il Pendolo” sarà il telecomando con il quale, per qualche minuto, metterete a tacere un mondo che fa troppo chiasso. Siamo una generazione a cui è stato impedito di rimanere soli: sempre connessi, sempre in mezzo a tutti eppure profondamente isolati da noi stessi. Il Pendolo è per tutti coloro che avranno voglia e coraggio di rimanere soli, almeno per un po’, tra caos e incoerenza, per ritrovare se stessi. Perché questo nome? Ovviamente il tributo è ad Arthur Schopenhauer, ma non solo. E’ un tributo a tutti coloro che sono riusciti con forza, dedizione e molto coraggio ad aprire gli occhi, a complicarsi la vita, a darsi risposte difficili e a non farsi ingannare dal bello che ci mettono davanti per nascondere la complessità e l’assurdità del reale.“Divieni ciò che sei”: questo è il nostro imperativo. E oggi vi invito a scoprirvi, di nuovo, uomini e filosofi.
Di Gian Marco Severini
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