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Bullismo fast-food

  • Mriateresa Di Nicola
  • 29 mar 2017
  • Tempo di lettura: 5 min


Bullismo. Una parola quasi inflazionata oggi; quasi racchiudesse in sé la cura al male che implica. Bisogna però avere il coraggio di usare questo termine per ciò che veramente identifica. Bul·lì·ṣmo, ostentazione di presunta capacità o abilità: banale, indisponente e rischioso modo di distinguersi, che sfocia talvolta in comportamenti aggressivi o violenti. Il bullismo è dunque una forma di comportamento sociale di tipo violento e intenzionale, di natura sia fisica che psicologica, oppressivo e vessatorio, ripetuto nel corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate dal soggetto che perpetra l'atto in questione come bersagli facili e/o incapaci di difendersi. Questa accezione è principalmente utilizzata per riferirsi a fenomeni di violenza tipici degli ambienti e più in generale di contesti sociali riservati ai più giovani. Lo stesso comportamento, o comportamenti simili, in altri contesti, sono identificati con altri termini, come mobbing in ambito lavorativo o nonnismo nell'ambito delle forze armate. Ora occorre quindi riflettere sul motivo per il quale oggi, moltissimi fatti di cronaca vengano apostrofati come "atti di bullismo", mentre siamo chiaramente nell ambito della violenza penale minorile. Troppo poco secondo me ci si interroga sul rapporto che esiste tra immagine mentale (o concetto) e linguaggio. Parlare di atto di bullismo contro una coetanea, é diverso dal parlare di violenza sessuale di gruppo su una coetanea. E allora oggi voglio scrivere su questo: i concetti creano le parole o è il linguaggio a creare i concetti? Facendo una analisi della cronaca dei nostri giorni, appare evidente come il bullismo porti con sé un implicito rimando alla eta giovanissima dei coinvolti, deresponsabilizzando i colpevoli stessi. L immagine mentale di un gruppo di minorenni che fa bullismo su un loro coetaneo, scatena una reazione emotiva differente rispetto al reato definito (sessuale, di violenza privata, percosse ecc ecc..) nel nostro immaginario singolo e collettivo. E allora mi chiedo e vi chiedo, provocando, a chi giova davvero ingabbiare un fenomeno oramai sociale, dentro le briglie delle scorribande infantili/adolescenziali? Esaminiamo velocemente un recentissimo fatto di cronaca: ragazzo con problemi psichici, abusato sessualmente in maniera reiterata, da parte di un branco di coetanei. Non ci sono parole per un commento quando il branco è composto da 11 ragazzini, quando la vittima di violenza sessuale ripetuta da parte di ognuno di loro è un altro ragazzino di 13 anni, che per giunta è disabile psichico, quindi ancora più indifeso e ancora più impossibilitato a riferire quello che gli stava accadendo. Sicuramente la prima domanda che ci si pone riguarda le famiglie di questi ragazzini coinvolti: dove erano i genitori? Indagando con testate giornalistiche di approfondimento si scopre che la mamma della vittima era stata consigliata da conoscenti di controllare che amici frequentasse il figlio; Forse la storiaccia era già nota nella comunità in cui si è consumata? C’era chi sapeva e non ha denunciato? Se non si parlasse di bullismo, anche questa condotta di omessa denuncia andrebbe attenzionata e sanzionata. Ma si parla di bullismo. Qualcuno non ha fatto nulla per interrompere le sevizie che doveva subire un bambino disabile? Non si tiri fuori termine “bullismo” che in casi come questo, sempre più frequenti, è del tutto improprio. Questi ragazzini non sono “bulli” e il problema si chiude. La realtà è molto più inquietante, loro sono le avanguardie di una società spietata e disumana che sta impunemente facendosi spazio sotto l’occhio omertoso e complice degli adulti. Omerta e complicità. Condotte punite per legge. Ma non in caso di bullismo. A questo punto, prima di esplicitarvi il mio pensiero a riguardo, trovo utile citare un fatto similare sotto alcuni aspetti ed antitetico per altri: ventenne di Alatri aggredito e massacrato da un branco di dieci coetanei fuori da un locale cittadino. Locale sito in pieno centro; centro frequentato da molto concittadini della vittima. Tutti vedono, guardano, ma non intervengono. Il gruppo fa paura. L' "homo videns" che oramai ha scalzato il sapiens sapiens, guarda ma non si attiva. Poco conta che si tratti di dodicenni o ventenni. La società così detta civile, é diventata cieca e sorda alla illegalità più cruda. Era la prima volta che Emanuele prendeva la macchina del padre. Ci teneva così tanto. Era tornato dal lavoro, aveva fatto la doccia ed era andato in discoteca. Voleva solo passare un venerdì sera con la musica e gli amici. Perché è successo? Cosa è successo? Perché l' hanno ammazzato? Perché non li hanno fermati?. Ketty, la fidanzata di Emanuele Morganti, rivive l'orrore. Ce l'ha ancora davanti agli occhi. Il suo ragazzo è morto dopo due giorni di agonia all'ospedale Umberto I di Roma. In nove lo hanno massacrato di botte fuori da un locale ad Alatri (Frosinone) venerdì notte. L'agguato, nella piazza centrale della città, sarebbe scaturito da una lite degenerata in una maxi rissa. Tutto è nato per difendere la fidanzata dagli apprezzamenti eccessivi di un coetaneo albanese o, forse, perché a quest'ultimo Emanuele aveva inavvertitamente preso il drink. Futili motivi, insomma (anche questi previsti come aggravante nei casi di omicidio, non di bullismo). Ma, come hanno raccontato i testimoni, (eh gia, qualcuno ha visto, qualcuno é rimasto a guardare) è bastato perché il branco (una ventina di persone in tutto), si infiammasse: lo hanno atteso e circondato, quindi colpito a calci e pugni e, infine, il colpo di grazia (violentissimo) dato con una spranga di ferro o, più probabilmente, con un cric. "I troppi colpi, violentissimi - si legge sul Corriere della Sera - hanno devastato la testa e il volto del ventenne, provocato fratture craniche e cervicali, al punto da renderlo quasi irriconoscibile. Tanto da far pensare a qualche suo amico intervenuto dopo l'aggressione che in realtà il giovane fosse stato travolto da un'auto". Arrivato in elisoccorso al policlinico della capitale venerdì notte in condizioni già disperate, Emanuele era stato sottoposto a un intervento chirurgico per provare a ridurre le lesioni alla testa causate dai colpi ricevuti. I medici dell'ospedale romano hanno rilevato la rottura delle vertebre cervicali e varie fratture craniche provocate con un oggetto contundente di ferro. Il ragazzo è stato tenuto in vita artificialmente fino a ieri. Nel pomeriggio, però, il suo cuore si è fermato. Da quanto si apprende i genitori avrebbero deciso di donare gli organi. I carabinieri di Alatri hanno sequestrato il locale, il Mirò, uno dei più noti della città, dove attorno alle 3 di notte è scoppiata la discussione. Quando è scoppiata la rissa in discoteca, anziché difendere Emanuele e la sua ragazza, i buttafuori hanno preso le parti del branco (concorso in omicidio) li hanno sbattuti fuori dal Mirò. E qui sarebbe stato scaraventato a terra dagli amici dell'albanese, ai quali si sarebbero aggiunti altri giovani avventori. Nessuno sarebbe intervenuto in sua difesa (omissione di soccorso) mentre lo colpivano ripetutamente col cric. Nella piazza principale di Alatri si voltavano tutti dall'altra parte. "Il corpo - Corriere della Sera - sarebbe stato anche trascinato sull'asfalto, come fosse un trofeo". (Concorso in omicidio colposo). Davvero possiamo rinchiudere tutto dentro al termine bullismo? Nel primo caso raccontato, un branco che compie crimini (non ragazzate) di nascosto dalla collettività; nel secondo caso, un branco che attacca davanti a tutti. Mi pare evidente che a fronte dei fatti di cronaca che ogni giorno ascoltiamo, sia urgente riflettere su alcuni punti: - rivedere età di imputabilità penale (oggi fissata a 14 anni); - eliminare quasi completamente il termine di bullismo, sostituendolo con i reati di volta in volta commessi; - rivedere il ruolo delle famiglie, troppo spesso tacite spettatrici di escalation violente, valutando per ogni singolo caso il concorso in reato o il favoreggiamento nello stesso; - interrogare la scuola, quale ambiente formativo per eccellenza, riguardo a come vengono gestiti conflitti e aggressività di quegli elementi che, evidentemente, sono e restano, se impuniti, privi di regole e scrupoli. Finché ognuno di noi si girerà dall'altra parte, poco importa se in classe o in piazza, saremo complici di reati gravissimi contro la persona. M. Di Nicola

 
 
 

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