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Lo stupro di Nanchino, l’olocausto dimenticato della II guerra mondiale

  • Cecilia Vassetti
  • 31 mar 2017
  • Tempo di lettura: 3 min


Nel 1937 ebbe inizio la secondo guerra sino-giapponese che si concluse solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale nel 1945 con la resa incondizionata del Giappone. L’ invasione della Cina era parte integrante del progetto strategico giapponese per assumere il pieno controllo dell’Asia. Quando il 13 dicembre 1937 l'esercito nipponico occupò l'allora capitale cinese Nanchino, le stragi e gli stupri furono all'ordine del giorno. Mentre i militari cinesi scappavano, la popolazione civile venne perseguitata da un esercito, sicuro della propria superiorità sui cinesi, giudicati una razza inferiore. Si conta che le vittime furono circa 500.000 se si comprendono anche i morti nei dintorni della città. I delitti dei giapponesi fuori atroci e numerosissimi: solo gli stupri furono tra i 20.000 e gli 80.000 e a subirli furono anche bambine e anziane. Tantissimi furono sbranati dai cani, bruciati insieme alle proprie case, seviziati fino alla morte, sepolti vivi, altri utilizzati per l’addestramento con le baionette, mentre ad altri ancora venne asportato il pene perché ritenuto cibo afrodisiaco. I massacri e gli stupri continuarono per sei settimane. I cadaveri furono sepolti in fosse comuni o gettati nel fiume Yangtze. I soldati giapponesi cercavano le donne in ogni casa per abusarne in gruppo. Dopo le mutilavano e le trafiggevano con canne di bambù o baionette. Spesso anche gli uomini erano sodomizzati e costretti a stuprare le proprie madri o figlie per il divertimento dei soldati giapponesi. Così ricordò le violenze un soldato giapponese: "Mentre ne abusavamo, le donne venivano considerate esseri umani, ma quando le uccidevamo non erano che maiali. Non ce ne vergognavamo assolutamente, non ci sentivamo minimamente in colpa: altrimenti non avremmo potuto farlo".

Un soldato giapponese della 114^ divisone, Tadokoro Kozo, disse “ Non c’ era nessun soldato che non stuprasse. Dopo che le cose erano fatte, di solito le uccidevamo. Se le avessimo lasciate andare, loro sarebbero corse via e noi le avremmo sparate alle spalle per non lasciarci nessun problema dietro.” I giapponesi usarono vari metodi di tortura. Spesso seppellivano vivi i civili cinese costringendo un primo gruppo a scavare la fossa, un secondo a seppellire i primi, un terzo avrebbe seppellito i secondi e così via. Alcuni venivano bruciati vivi, altri dovevano rompere il ghiaccio degli stagni e infilarsi dentro per poi morire congelati. Altri ancora veniva sepolti a sino alla cintola e sbranati poi dai cani. All'interno della "Zona di sicurezza" una missionaria e insegnante americana Minnie Vautrin scrisse: " Giovedì, 16 dicembre. [..] Probabilmente non c'è crimine che non sia stato commesso oggi in questa città. La scorsa notte trenta ragazze sono state rapite dalla scuola di lingue e oggi ho sentito storie strazianti di ragazze portate via dalle loro case la notte scorsa: una aveva appena dodici anni. […]questa sera è passato un camion con 8 o 10 ragazze che gridavano Giu ming, Giu ming- salvateci la vita! Domenica, 19 dicembre. [...]Credo di essere salita tre volte a South Hill, poi al retro del campus e poi sono stata chiamata con urgenza alla vecchia Faculty House dove mi hanno detto che due soldati erano saliti al piano superiore. Là, dentro la stanza 538, ne ho trovato uno fermo davanti alla porta e uno dentro che stava già stuprando una povera bambina. La mia lettera dell’ Ambasciata e la mia presenza li ha fatti scappare in fretta - nella mia rabbia vorrei avere avuto la forza di colpirli per le loro vili azioni.” Dopo otto anni di occupazione, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il Tribunale Internazionale di Tokyo, voluto dagli americani, si occupò anche del massacro di Nanchino, emettendo alcune condanne. Venne, tuttavia, concessa l'immunità a tutta la famiglia imperiale.

Il popolo cinese prova ancora un fortissimo risentimento nei confronti del Paese del Sol Levante, poiché i giapponesi non hanno ancora ammesso di aver compiuto simili atrocità o chi tra loro lo ha fatto, tende a sminuire la gravità del massacro, indicando il massacro come “Incidente di Nanchino”.


Di Cecilia Vassetti


 
 
 

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