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Accadde Oggi
di Andrea Baiocco
LE CINQUE GIORNATE DI MILANO: 17-22 MARZO 1848
March 22, 2017
La storia della nostra indipendenza deve molto alle insurrezioni di Milano, la cui vittoria, anche se temporanea, è avvenuta il 22 marzo di 169 anni fa.
Nel 1848 Milano era capitale del Regno Lombardo-Veneto, parte dell'Impero austriaco. Il malcontento nei confronti del dominio austriaco si era cominciato a diffondere con l'elezione di Papa Pio IX, le cui prime decisioni politiche, come l'introduzione di una maggiore libertà di stampa, sembrarono incarnare una svolta politica e sociale rispetto ai papi precedenti e ai criteri della Restaurazione.
La tensione tra milanesi e austriaci, le cui truppe erano agli ordini del generale Josef Radetzky, crebbe col passare dei mesi. Si alimentarono sempre di più quando, nel settembre 1847, fece il suo ingresso in città il nuovo arcivescovo Carlo Bartolomeo Romili, che sostituiva l'austriaco Von Giasruck: i festeggiamenti per la nomina di un arcivescovo italiano provocarono la reazione della polizia che caricò la folla in Piazza Fontana uccidendo un milanese e ferendone altri.
La rivolta di Palermo del 12 gennaio e la conseguente decisione del re Ferdinando II di concedere la Costituzione, cui seguirono ai primi di febbraio la promulgazione dello Statuto Albertino e la concessione di Costituzioni nel Granducato di Toscana e nello Stato Pontificio, fecero salire a livelli ancora più alti la tensione a Milano. Le manifestazioni si intensificarono e proseguirono nonostante la repressione austriaca durante lo sciopero del fumo promosso dagli stessi insorti, i quali pensarono che operando in tal modo colpissero l'entrate erariali provenienti dalla tassa sul tabacco.
I milanesi ostili al dominio austriaco erano suddivisi in tre gruppi, ideologicamente separati per ispirazione politica e obiettivi perseguiti, cioè: mazziniani repubblicani, democratici riformisti, ostili anche al Regno di Sardegna e a Carlo Alberto, tra le cui fila vi era Carlo Cattaneo, e nobili e patrizi, aspiranti alla fusione col Piemonte, la cui figura di maggior rilievo era quella del podestà Gabrio Casati.
L'inizio della ribellione: Venerdì 17 marzo si diffuse in città la notizia delle dimissioni di Metternich, ex Cancelliere di Stato d'Austria, a seguito dell'insurrezione popolare a Vienna: fu così organizzata per il giorno successivo una grande manifestazione pacifica davanti al palazzo del governatore per richiedere alcune concessioni tese a dare maggiore autonomia a Milano e alla Lombardia.
Il 18 marzo 1848 la manifestazione pacifica si trasformò in un assalto, tant'è che lo stesso O'Donell, rappresentante del governatore Spaur, venne costretto a firmare una serie di concessioni e in tutta Milano cominciarono i combattimenti in strada. Radetzky, colto di sorpresa, si rinchiuse con i suoi 8000 uomini nel Castello Sforzesco, dispiegando solo successivamente gli altri 12000 per tutta Milano. Il 19 marzo i milanesi erano riusciti ad assaltare circa 1700 barricate, nonostante la scarsità di armi da fuoco, che costrinse gli stessi insorti a usare i fucili esposti nei musei. Le strade vennero dissestate e cosparse di ferri e vetri per rendere impossibile l'azione della cavalleria.
Nella terza giornata il Consiglio di Guerra milanese respinse la proposta di armistizio degli austriaci e si costituì un Governo Provvisorio, che fu reso effettivo solamente a partire dal 22 marzo, il giorno in cui gli insorti milanesi ottennero effettivamente le chiavi della città: il 21 marzo, infatti, i milanesi conquistarono tutte le caserme e le posizioni tenute ancora dagli austriaci, costringendo, in serata, la ritirata di Radetzky.
All'alba del 23 marzo, dopo aver aperto le porte, Milano accolse i primi volontari provenienti da Genova e Torino. Carlo Alberto emanò il proclama in cui annunciava ai popoli della Lombardia e del Veneto che stava accorrendo con il suo esercito in appoggio agli insorti.
Il risvolto indesiderato: Seguendo questa linea, ci si avviò verso la Prima Guerra di Indipendenza, che non ebbe gli esiti sperati dagli insorti: per le posizioni problematiche assunte nel corso di questa, il Re, sebbene avesse respinto ogni proposta di abbandonare la città, il 4 agosto del 1848 decise di porre fine alla guerra, scatenando l'ira degli insorti, i quali si ammassarono attorno alla sua residenza. Nella sera i bersaglieri sgomberarono la folla e scortarono Carlo Alberto fuori dalla città.
Il 6 agosto 1848 gli austriaci rientrarono a Milano e come nuovo governatore fu posto Felix Schwarzenberg.

Disputa Meucci-Bell: questione mai risolta
March 06, 2017
Oggi, nel mondo, dati del 2016 alla mano, rivelati da Mobility Report di Ericsson, circa cinque miliardi di persone nel mondo possiedono un telefonino, e ancora di più sono gli abbonamenti sottoscritti, pari a 7,4 miliardi complessivi, ammontando allo stesso numero dell'intera popolazione mondiale a maggio 2016. La potenza mondiale che presenta il maggior numero di abbonamenti mobile è la Cina con 1,295 miliardi, superando di grand lunga l'Europa con 1,040 miliardi. Ma da dove nasce tutto questo? Quando fu realizzato il primo telefono fisso della storia? Sono queste le due domande a cui daremo una risposta.
L'invenzione del telefono è stata per anni oggetto di disputa tra i suoi principali autori, primo tra tutti l'italiano Antonio Meucci, il quale depositò il caveat, una sorta di avviso di invenzione privo di dettagli, già nel 1871. La sua idea fu del tutto casuale: riuscì a realizzare il primo collegamento telefonico tra due stanze della propria casa all'Avana, Cuba, nel 1852. Cominciò a lavorare su quello che lui definiva “telegrafo parlante” all'età di 26 anni, quando era capo macchinista in un teatro di Firenze; tuttavia, fu solo a Cuba, nel 1849, che Meucci ebbe l'intuizione per la sua invenzione, mentre lavorava negli ospedali della Capitale. La storia narra che un giorno lo scienziato stava curando uno dei suoi pazienti con l'elettroterapia e, proprio per questo motivo, l'ammalato era collegato, mediante un circuito elettrico, con l'inventore. Quando quest'ultimo inserì nel circuito una batteria di pile con una tensione di 114V, il malato lanciò un urlo di dolore per la scossa subita. Il suono del lamento, trasferendosi sul filo, raggiunse distintamente lo scienziato che era due stanze più in là rispetto al letto del paziente. Da quel momento cominciò a lavorarvi sopra, realizzando un vero e proprio prototipo rudimentale di apparecchio telefonico elettromagnetico, alla balle della realizzazione dei moderni dispositivi, nel 1856.
La domanda qui sorge spontanea: “Perché Meucci, messa in pratica la propria idea, non l'ha brevettata?” La risposta è semplice quanto scontata: non aveva i soldi per il deposito di un regolare brevetto e, successivamente, per conservare la prelazione; il tutto ammontava a circa 250 dollari.
A questo punto interviene Alexander Graham Bell, il quale, secondo il racconto di Meucci, si sarebbe trovato nella condizione di accedere ai suoi progetti tramite l'American District Telegraph e ad approfittarne per brevettare l'invenzione, nel momento in cui lo stesso Meucci, nel 1874, vide decadere il suo caveat per il mancato pagamento annuale.
Come siano andate effettivamente le cose è difficile da sapere, certo è che l'invenzione ebbe anche altri genitori, tra cui l'italiano Innocenzo Manzetti, Thomas Edison, Joahnn Philipp Reis, Elisha Gray e il francese Charles Boursel, ma a depositare il brevetto per un “apparato per la trasmissione della voce telegraficamente” fu ugualmente Alexander Bell il 7 marzo 1876, munito dei 250 dollari necessari.
Giustizia è fatta: il suo primato, pur tra le polemiche, gli è stato riconosciuto fino al 2002, quando il Congresso degli Stati Uniti si pronunciò sulla questione, indicando Antonio Meucci come unico inventore del telefono.
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