Europa, ultima fermata
- Edoardo Venturini
- 24 mar 2017
- Tempo di lettura: 2 min

Domani 25 marzo 2017 verranno celebrati a Roma i 60 anni dalla ricorrenza della firma del Trattato della Cee, la comunità economica europea, antenata di quella che sarà l’Unione.
Nel 1957 infatti proprio nella Capitale si riunirono i capi di stato per siglare, a soli 11 anni dal termine della Seconda guerra mondiale, un accordo fondamentale per la pace e la stabilità del Continente.
Non l’avrebbe detto quasi nessuno che dopo poco più di un decennio, nazioni che si erano odiate, uccise, distrutte, si sarebbero sedute allo stesso tavolo per concordare un futuro diverso e prospero per i popoli europei.
Alla firma presero parte 6 paesi: Italia, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Belgio, rappresentati da personaggi del calibro di Antonio Segni, Adenauer e Pineau.
L'Europa unita allora era una conquista ed una vittoria non solo per noi ma il mondo tutto, era ricchezza e salvezza.
Sessanta anni dopo lo scenario è totalmente differente, ribaltato rispetto all’inizio e sull’orlo (forse) di mutamenti epocali.
I 27 stati che firmeranno il nuovo Trattato, impegnandosi a seguire un destino continentale comune sono divisi su tutto, dall’immigrazione all’economia, in lotta tra loro per concessioni di flessibilità, ed in tutto ciò i cittadini sono disorientati, divisi e perlopiù contrari ad un progetto europeo sempre più lontano dal bisogno dei popoli e vicino alle esigenze della finanza internazionale.
L’Europa non era questo. Europa non era combattere ed imporsi per uno 0,2% di sforamento di deficit, ma era richiesta di diritti, libertà, pace.
Negli ultimi anni l’Unione ha avuto una guida illegittima, la Germania, che ha tutelato i suoi interessi, considerando gli altri stati una propria provincia; classico esempio ne è la Grecia che come noi, sta vivendo un periodo di crisi perdurante perché, seppur dopo evidenti errori, le è stato imposta una economia ed una politica non fattibili in un piccolo stato.
Questo tipo di Europa è dunque chiamata a scegliere, tra ciò che chiedono i popoli e ciò che invoca la finanza; dovranno essere i cittadini ad esprimersi, non demandando solamente un potere opaco ai burocrati di Bruxelles. Se per una volta si ascolterà il popolo, non ritenendolo “populista”, forse l’Europa sopravviverà altrimenti, tra qualche decennio, sarà solamente un pallido e triste ricordo.
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