La dignità della persona
- Cecilia Vassetti
- 17 mar 2017
- Tempo di lettura: 2 min

La dignità è un concetto difficile da delineare poiché non esiste una definizione univoca. Si tratta invero di un soggetto ad interpretazione. Ciò che anzitutto colpisce della dignità è che questa vada riconosciuta a tutti senza alcun tipo di distinzione. La dignità è garantita al detenuto, al folle, all’ammalato, al portatore di handicap. Quando ci appelliamo a quelle figure dell’umano in cui l’individuo sembra quasi essere sparito, ci appelliamo al dovere di riconoscere sempre e comunque la dignità, che in questo caso è ontologica. La dignità che noi riconosciamo a queste figure “borderline”, ma che paradossalmente esprimono l’umanità a un livello persino maggiore, la dobbiamo riconoscere quale che siano i nostri ideali politici e la nostra religione. È un concetto che trascende tutto ciò. Il mancato riconoscimento o la perdita della dignità non è un argomento che va preso alla leggera perché nel momento in cui non ci fosse più dignità, allora io di quell’essere, di quella persona che l’ha persa, potrei fare quello che voglio. Ed è proprio su questo principio che si fondano lo schiavismo e l’eugenetica. Infatti se lo schiavo venisse considerato come un essere privo di dignità, su di esso di potrebbe fare qualunque cosa paragonandolo ad una mera Res. L’eugenetica invece nasce dall’idea che ci sia vita degna di essere vissuta e vita non degna di essere vissuta secondo dei canoni prestabiliti.
“Laddove non c’è dignità...” Che dignità devo riconoscere a uno che non ha prospettive di vita? Che valore devo riconoscere ad un portatore di Handicap? Questa riflessione, che sembrerebbe guidata dal buon senso, ha portato alle peggiori aberrazioni. Chi decide chi debba mantenere la dignità e chi no? E se una persona decidesse per esempio che l’omosessuale non ha nessun valore? Se un individuo decidesse che l’ebreo non ha valore? Ne farebbe quello che vuole.
La dignità è quindi insita in ogni uomo come dignità ontologica riconosciuta e accettata dai suoi simili, ma esiste anche un altro tipo di dignità, quella che l’individuo percepisce in sé. Difatti quella ontologica non si può perdere ma la si ha dal momento della propria nascita, mentre la percezione individuale della propria dignità la si può perdere, seppur momentaneamente, attraverso continue e ripetute denigrazioni e torture, come accadde per esempio durante la seconda guerra mondiale. Ecco che la dignità è “umana”, cioè propria di quell’essere razionale cosciente di sé, spinto da essa ad indagare sul significato più profondo della propria esistenza, ad essere superiore a qualsiasi prezzo o abuso, ad imporre una resistenza silente ma più forte di qualsiasi oppressione e violenza, ad opporsi al destino e capire chi si è veramente nell’ultimo momento della morte, a riconquistare la propria fisicità, il proprio essere uomini.
Quindi se è possibile perdere la dignità che l’individuo percepisce di sé, questa è anche riconquistabile.
Cecilia Vassetti
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